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L’8 e il 9 giugno 2025 verranno chiesto ai cittadini aventi diritto di esprimere il proprio consenso o dissenso dinanzi a cinque quesiti relativi alla possibile abrogazione di alcune norme: il primo quesito verterà sul tema del reintegro nel posto di lavoro per licenziamento ingiustificato; il secondo proporrà l’eliminazione del tetto agli indennizzi nei licenziamenti delle piccole imprese; il terzo avrà ad oggetto l'(ab)uso dei contratti a termine; il quarto riguarderà la responsabilità delle imprese negli appalti in caso di infortuni; infine, il quinto proporrò di ridurre da 10 a 5 anni il requisito di residenza per ottenere la cittadinanza italiana.

Oltre che sul merito dei singoli quesiti del referendum però, nelle ultime ore il dibattito pubblico si è infuocato attorno all’invito all’astensione lanciato da parte di alcuni personaggi di spicco della politica italiana. Ma è legittimo tutto ciò? Quale può essere il senso dell’astenersi invece che presentarsi alle urne e votare liberamente?

Per rispondere a queste ed a tutte le domande inerenti al merito dei quesiti referendari, occorre aver chiaro il funzionamento del  del referendum abrogativo e le sue implicazioni.

Il referendum: cos’è e quali tipologie esistono

Il referendum (gerundivo del verbo latino refero «riporto», «riferisco» dalla locuzione ad referendum«[convocazione] per riferire») è un istituto giuridico con cui si chiede ai cittadini di esprimere il proprio consenso o dissenso in merito ad una specifica proposta o domanda. Si tratta di uno strumento di democrazia diretta, in quanto consente agli elettori di pronunciarsi senza la mediazione del Parlamento su un tema specifico oggetto di discussione.

Il referendum in Italia

In Italia il referendum é, assieme alla petizione (art.50 Cost.) e al disegno di legge di iniziativa popolare (Art. 71 Cost.), uno degli strumenti con cui è garantita la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica del Paese, considerata diritto inviolabile ex art. 3 della Costituzione.

In particolare, l’ordinamento italiano ne prevede le seguenti tipologie:

  • abrogativo (art. 75 Cost.) volto ad abrogare in tutto o in parte una legge o un atto avente forza di legge;
  • costituzionale (o “confirmativo” art. 138 Cost.) previsto per le leggi di revisione costituzionale;
  • territoriale (art. 132 Cost.) per modificazioni territoriali di Regioni, Province e Comuni;
  • consultivo, ammesso soltanto a livello regionale;
  • di indirizzo, identificabile con una sorta di plebiscito e in realtà effettuatosi solo nel 1989, quando agli elettori fu chiesto di esprimersi sul conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo che sarebbe stato eletto di lì a poco.

Il referendum abrogativo in Italia: il voto e l’astensione

Il referendum abrogativo è l’unico previsto dalla Costituzione come una vera e propria “fonte di dirittoin quanto, abrogando disposizioni preesistenti di leggi o di atti aventi forza di legge, dispone della capacità di modificare l’ordinamento eliminando leggi o atti aventi forza di legge.

L’art. 75 Cost. che lo regola stabilisce che:

  1. E` indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
  2. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
  3. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
  4. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
  5. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.”

Sin dalla lettura del testo normativo risulta dunque evidente il ruolo decisivo (ai fini del risultato delle votazioni) che, nell’ambito del referendum abrogativo, è riservato dallo stesso comma 4 dell’art. 75 della Costituzione al requisito del cd. quorum (del 50 % + 1 degli aventi diritto al voto) .

Tale regola, che non è prevista né per le elezioni politiche né per il referendum confermativo di cui all’art. 138 della Costituzione, nel referendum abrogativo ex art. 75 della Costituzione mira ad evitare che una minoranza “attiva”, seppur alle volte molto nutrita, possa imporre (nella sostanziale disattenzione della maggioranza) uno stravolgimento normativo alla totalità dei cittadini, “bypassando” un adeguato dibattito, seppur delegato, in Parlamento.

In questo senso dunque l’astensione non può e non deve essere bollata come un “torto” alla democrazia in quanto, rappresentando un vero e proprio meccanismo di funzionamento del referendum abrogativo, non esaurisce necessariamente le proprie ragioni nel disinteresse del cittadino nei confronti della democrazia ma, anzi, alle volte rappresenta una vera e propria scelta consapevole e strategica.

Modalità di attuazione e risultato del referendum abrogativo

L’art. 75 della Costituzione rinvia alla legge ordinaria per le modalità di attuazione del referendum abrogativo. In particolare, le fasi del referendum sono dettate dalla L. 25 maggio 1970, n. 352:

  • iniziativa, che può provenire da 500.000 elettori o da almeno 5 Consigli regionali;
  • raccolta delle firme, su fogli del tipo «carta bollata», preventivamente vidimati dalle segreterie comunali o dalle cancellerie degli uffici giudiziari;
  • deposito della richiesta di referendum, corredata dei certificati elettorali dei sottoscrittori, entro il 30 settembre di ogni anno all’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione e composto da tutti i presidenti di sezione della Corte stessa;
  • controllo di legittimità-regolarità dell’Ufficio centrale che, entro il 31 ottobre, deve rilevare, con ordinanza, le eventuali irregolarità delle richieste;
  • giudizio di ammissibilità da parte della Corte costituzionale che decide, con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio, quali delle richieste siano da ammettersi e quali da respingersi;
  • indizione del referendum da parte del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, fissando la convocazione degli elettori in una delle domeniche comprese tra il 15 aprile e il 15 giugno;
  • votazione secondo le modalità prescritte per le elezioni politiche. La proposta di referendum si intende approvata se ha riportato la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi (non si tiene conto delle schede bianche e di quelle nulle);
  • proclamazione dei risultati da parte dell’Ufficio centrale del referendum, eseguiti gli opportuni controlli.

Nel caso il risultato sia contrario all’abrogazione della legge, ne viene data semplice notizia sulla Gazzetta Ufficiale e non può proporsi nuovo referendum prima che siano trascorsi cinque anni; se, invece, il risultato è favorevole all’abrogazione, il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, dichiara l’avvenuta abrogazione della legge; l’abrogazione ha effetto a decorrere dal giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale.

Referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025: quali saranno i 5 quesiti?

I cittadini saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari, tutti di tipo abrogativo, promossi principalmente dalla CGIL e da comitati civici:

  1. il primo quesito punta a ripristinare la possibilità di reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti licenziati senza giusta causa, superando le norme introdotte dal Jobs Act che prevedevano solo un’indennità economica;
  2. il secondo, invece, riguarda i lavoratori delle piccole imprese: si chiede di eliminare il limite massimo all’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo, lasciando maggiore libertà al giudice nel calcolo del risarcimento;
  3. il terzo quesito propone di limitare l’abuso dei contratti a termine, tornando a vincoli più rigidi per il loro utilizzo e contrastando forme di precarizzazione;
  4. il quarto mira a rafforzare la responsabilità delle imprese negli appalti, chiedendo di abrogare alcune norme che, secondo i promotori, riducono le tutele dei lavoratori in caso di infortuni sul lavoro;
  5. infine, il quinto quesito riguarda il tema della cittadinanza italiana: si propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo minimo di residenza necessario per i cittadini extra-UE per ottenere la cittadinanza italiana, facilitando il percorso di integrazione.

Quesito sulla cittadinanza

Il più discusso è senza dubbio il quinto quesito referendario, il quale interviene sulla legge n. 91 del 1992 in materia di cittadinanza con l’intento di semplificare e accelerare l’accesso alla cittadinanza italiana per gli stranieri non comunitari.

Attualmente, uno straniero può ottenere la cittadinanza per naturalizzazione solo dopo almeno 10 anni di residenza legale continuativa in Italia. Inoltre, è prevista una norma specifica per i minori adottati da cittadini italiani, che ottengono la cittadinanza solo se adottati formalmente.

Il quesito invece propone due modifiche: da un lato, abrogare la norma che prevede il requisito dei 10 anni di residenza, riducendo di fatto a 5 anni il termine minimo richiesto; dall’altro, eliminare il riferimento all’adozione, in modo da estendere automaticamente il diritto alla cittadinanza anche ai figli minorenni dei nuovi cittadini, indipendentemente dalla modalità con cui sono entrati nel nucleo familiare.

Di seguito quello che sarà il testo del quesito: “Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza?

Perché si discute tanto di questo referendum?

Come anticipato, il referendum del 2025 ha riacceso un forte dibattito pubblico.

Oltre al tema dell’invito all’astensione, che nelle ultime ore ha fagocitato tutte le altre polemiche e di cui si è già parlato in quest’articolo, il quesito sul reintegro dei lavoratori licenziati divide soprattutto chi lo considera una tutela irrinunciabile e chi teme invece che possa scoraggiare le assunzioni. Anche la responsabilità delle imprese negli appalti è un tema controverso: si confrontano visioni diverse su cosa significhi davvero garantire sicurezza senza bloccare il mercato.

Il quesito sulla cittadinanza ha aperto uno scontro più ideologico che tecnico. Per alcuni, la riduzione del tempo di attesa è un segnale di apertura e civiltà. Per altri, rischia di diventare una sanatoria di fatto, con delicate implicazioni politiche e sociali.

Infine, c’è un sempre vivo dibattito sullo stesso strumento del referendum abrogativo: c’è chi lo considera un modo per riavvicinare i cittadini alla politica, e chi lo vede come una scorciatoia per modificare leggi complesse senza un vero confronto parlamentare.

Referendum 2025: quando si vota

Le date in cui i cittadini saranno chiamati alle urne per il referendum 2025 saranno quelle di domenica 8 e lunedì 9 giugno. I seggi saranno aperti dalle ore 7:00 alle 23:00 nella giornata di domenica e dalle 7:00 alle 15:00 in quella di lunedì.

La scelta di distribuire la votazione su due giorni ha l’obiettivo di incentivare la partecipazione, specialmente in occasione di consultazioni popolari che richiedono il raggiungimento del quorum del 50% più uno degli aventi diritto per essere valide. La data del referendum 2025 coincide con il secondo turno delle elezioni amministrative, che si terranno in molti comuni e in alcune regioni.

Referendum 2025: come si vota

Si vota in presenza nei giorni domenica 8 giugno (dalle 7:00 alle 23:00) e lunedì 9 giugno (dalle 7:00 alle 15:00), nel proprio seggio elettorale di residenza. È necessario presentarsi con un documento d’identità valido e la tessera elettorale.

Gli iscritti all’AIRE, cioè i cittadini italiani residenti all’estero, ricevono automaticamente il plico elettorale e votano per corrispondenza, secondo le modalità stabilite dalla legge. In caso di mancata ricezione del plico, possono richiederne un duplicato rivolgendosi al proprio consolato.

Anche gli italiani temporaneamente all’estero, per motivi di lavoro, studio o cure mediche, possono votare per corrispondenza. Per farlo devono trovarsi all’estero per almeno tre mesi nel periodo che include le date del referendum ed inviare apposita dichiarazione al proprio Comune italiano di residenza, indicando il domicilio temporaneo e il consolato competente.

Infine, gli elettori temporaneamente domiciliati in una provincia diversa da quella di residenza (come studenti fuori sede, lavoratori o persone in cura) possono votare nel Comune in cui si trovano, a condizione che vi siano domiciliati per almeno tre mesi, nel periodo in cui si svolge il referendum. Anche in questo caso è necessario presentare una richiesta formale, secondo le modalità previste dal decreto legge n. 27/2025.

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